martedì 11 ottobre 2011

Leo e il 7.30 su www.marciapadova.it


PAROLE IN CORSA!
Storie di podisti"
   
Don Leo 
Sento parlare di Leo qualche mese fa.Sono sempre affascinato dalle persone che passano di bocca in bocca grazie al loro carisma.Le bocche che mi parlano di lui, in questo caso, sono di podisti.Usano parole particolari: umanità, altruismo ma soprattutto una grande capacità di aggregare e accentrare le persone.Vengo a sapere che il nome Leo è sempre preceduto da un trittico di lettere: “Don”.Sorrido. Penso al parroco della mia infanzia e alla sua immensa capacità di farmi vivere l’oratorio in ogni singolo istante del pomeriggio. Nella gioia e nella passione di quell’uomo, Don Crisanto, ancora oggi ritrovo pezzi della mia spiritualità.Mi informo.Leo cura le anime di Campodarsego.La carta di identità alla riga Professione indica ECCLESIASTICO. Sull’anno di nascita: 1966.Un parroco giovane. Potrebbe essere mio fratello.Hobby: podista.È il timbro che certifica il mio desiderio di parlare con lui.Occhi negli occhi.Il piazzale davanti alla dimora del parroco è ghiaioso.Un sms mi avvisa che Leo arriverà con un pizzico di ritardo.Mentre l’ aspetto due ragazzi si rincorrono da un capo all’altro di questo spazio recintato; sono due gemelli di circa dodici anni. Ridono e scherzano. La madre li guarda in parte compiaciuta e in parte stizzita dal baccano che stanno facendo.Urlano. Io li osservo e mi gusto l’aria calda di quest’estate che ad ottobre prende ancora in giro il calendario.C’è fermento attorno all’edificio. Operai affaccendati attorno ad un campanile da ristrutturare. Anziane signore che attraversano un campetto di calcio con le linee laterali che lambiscono l’entrata della canonica.Arriva una vespa. La guida un ragazzo: jeans e camicia chiara a quadri. I ragazzi lo riconoscono e gli vanno incontro.Il ragazzo, ancora a cavalcioni sulla moto, si leva il casco e li abbraccia. La sintonia che c’e’ tra quei tre esseri umani mi investe.Capisco che il parroco è arrivato.Leo mi stringe la mano con vigore e regala le sue attenzioni alla mamma dei gemelli. Intuisco che devono fissare una data per qualche cerimonia. Una messa a suffragio. Mi colpisce la familiarità del tono della voce di questo ragazzo. La stanza è invasa da parole in dialetto veneto.Io attendo in una grossa sala adiacente allo studio dove tra poco sarò invitato ad entrare . Mi appoggio ad un lungo tavolo in legno massiccio. Sono attratto da volantini legati ad aiuti umanitari da destinare al Centro Africa.Il sacerdote licenzia la famiglia e mi fa accomodare nello studio.Cominciamo a parlare.Gli spiego chi sono e perché sono lì.Ho da subito l’impressione che mi conosca. Penso ad una nostra amica comune. So che gli ha parlato di me. Lui sa che io so di lui? “Non molto poi” penso tra me. Non ho voluto i dettagli su Don Leo.Voglio godermi ciò che sarò in grado di percepire.È la bellezza degli attimi di vita che rimarranno unici.Originali.Siamo seduti uno di fronte all’altro. Nessuna scrivania di mezzo.Lo apprezzo.Niente distanze.Le sedie sono in legno con la seduta in paglia.Lo osservo mentre mi racconta della sua infanzia. Un metro e settantacinque di fisico asciutto e una faccia da bravo ragazzo: fronte stempiata e viso arrotondato sul quale le lenti degli occhiali filtrano occhi vispi e molto attenti.E’ un piacere ascoltarlo.Lui parla e io riempio pagine di block notes.Arrivo da una famiglia di sei fratelli. Da loro ho ereditato la passione per lo sport. Il calcio la faceva da padrone. Il campetto dell’oratorio di Salboro era la mia vita, assorbiva il mio tempo. Lo prosciugava.Poi il seminario e la passione per il pallone che seguiva fedelmente la mia tonaca.”Come nasce la passione per la corsa?” – la mia è una domanda scontata.La corsa nasce da un’ esigenza di sfuggire ai ritmi frenetici della vita. E’ un vero antidoto. E così ritaglio i pochi momenti di stasi delle mie giornate, e tento di riempirli. Li adatto alle esigenze della mia comunità ma li cerco e me li dedico.Sono sei anni che corro e da quando lo faccio ho ritrovato i miei equilibri e stabilizzato le mie emozioni.Corro e mi distendo mentalmente. Lo faccio tre volte a settimana. A volte anche quattro. Dipende dagli impegni.Corro la mattina e mi gusto i “rumorosi” silenzi del mio paese che si sveglia. Le prime auto che si dirigono verso la città; le persiane delle abitazioni che si arrotolano; il vociare dei ragazzini che vanno a scuola.”Mentre parla Leo accavalla spesso le gambe. Parla da innamorato di questa sua passione. Io sono una preghiera in cammino” mi dice “e correre nei silenzi del mio paese mi fa sentire vivo”. Mi si blocca per un attimo la respirazione.Succede che corro anche con i miei amici di Campodarsego. Abbiamo creato un gruppo di podisti che ogni sabato alle 7:30 si trova per condividere il sudore da scaricare sull’asfalto. La corsa in compagnia è un contenitore di storie”. Mi appunto anche questa frase. Sembra un’aforisma.Parliamo della Maratona di Padova. Non me ne frega nulla di quanto tempo ci ha messo e penso che nemmeno mi informerò. Sono avido di aneddoti e di emozioni vissute da questo ragazzo.Don Leo mi racconta con enfasi.Lo stimolo ad iscrivermi alla quarantadue chilometri arriva dai miei amici. Nei mesi precedenti l’evento, pur allenandomi costantemente, non mi rendo conto di ciò che mi appresto a compiere. Comincio a realizzarlo la mattina della corsa. Lì sono travolto dalle emozioni: la partenza a cento metri da dove vivo. La mia benedizione ai podisti. Gli applausi della folla. Nessun momento per smaltire la sbornia di sensazioni che è già ora di partire. Tre, due, uno. Via.Le facce delle persone che mi acclamano. I miei parrocchiani.”Immagino il grado di intimità che ci deve essere tra chi applaude e Don Leo che sfreccia sudato davanti alle transenne. Mi racconta della stanchezza in gara e della mancanza di forze che quasi non trova nemmeno per bere una semplice dose di gel liquido.La genuinità di questo ragazzo la tasto quando, orgoglioso, mi racconta del quadro che hanno appeso al bar del paese. Nella cornice c’è lui in abito da runner.Più parlo con quest’uomo più mi ritrovo e mi perdo nella sua passione.Scavo. Lo pungolo. Voglio nuove angolazioni di una delle cose che più amo della vita: correre. Angolazioni spirituali.Che analogie ci vedi tra la vita e la maratona?”. Giro pagina del block notes e mi ritrovo in un universo bianco da riempire di inchiostro.Leo mi catapulta in un mondo di analogie alle quali non avevo pensato. Nemmeno nei miei più lunghi silenzi di corsa.Conosci, Rubens, quella canzone di Jovanotti... come si chiama? Quella che dice Le scarpe piene di passi. Ecco io la trovo una canzone molto spirituale.I passi della corsa sono passi veri e ogni passo ha una sua verità interiore. Una verità che avanza e va verso gli altri.”Leo è un fiume in piena. Le parole tracimano. La maratona insegna ad avere una direzione e dei compagni di viaggio. Questa corsa insegna ad avere una prospettiva da seguire. Quando ti mettono la medaglia al collo hai già voglia di riprovarla a correre. Per ogni maratona che termina c’è voglia di ripartire.”Assomiglia al ciclo della vita, mi dico tra me e me. Ogni maratona come una vita che si spegne e rinasce.Le campane suonano le sei. Mi vergogno un po’ pensando di essermi ridotto a misurare il tempo col display del mio telefono cellulare. Il fascino dei rintocchi delle campane in bronzo mi riporta alla realtà.  È ora di andare. Io e Leo ci salutiamo. Una stretta di mano e un sorriso. Io, come quei due ragazzi gemelli di dodici anni, in perfetta sintonia con una persona che dispensa serenità.
Correndo.
 

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